Avatar: La Via dell'Acqua è pura goduria sensoriale, ma non è perfetto. La recensione | Hardware Upgrade

2022-12-21 16:03:37 By : Mr. Carl Chen

Abbiamo visto Avatar: La Via dell'Acqua (noto anche come Avatar 2) all'Arcadia di Melzo, Sala Energia, ed è stata un'esperienza sconvolgente. Cameron stabilisce ancora una volta un punto di riferimento da seguire nei prossimi anni per quanto riguarda la tecnica visiva

"L’acqua non ha inizio o fine. Il mare è intorno a te e dentro di te. Il mare è la tua casa prima della tua. L’acqua connette tutte le cose: la vita alla morte, il buio alla luce", con questa sequenza di parole James Cameron offre il suo commovente tributo al mare in Avatar: La Via dell'Acqua, colossal che entrerà nelle sale italiane - e ci rimarrà per diverso tempo - a partire dal 14 dicembre.

A differenza del primo episodio della serie, in cui era la foresta l'ecosistema rispettato e venerato dai Na'Vi (e distrutto dagli "uomini del cielo"), qui l'ambientazione predominante è proprio l'acqua. Quello che cambia totalmente è la struttura narrativa rispetto al primo Avatar, film monolitico e autoconclusivo capace di generare incassi stratosferici. Il secondo capitolo presenta una narrativa molto più complessa e stratificata - talvolta non semplice da seguire - con personaggi principali che vengono ben definiti durante le oltre 3 ore di durata ma che fino alla fine non risultano ancora completi. Insomma, il nuovo capitolo di Avatar lascia alcuni dettagli in sospeso in attesa del capitolo successivo, pur presentandosi come un film assolutamente vecchia scuola, con un inizio e una fine molto marcati e in mezzo un sontuoso sviluppo narrativo ai massimi livelli dell'arte cinematografica.

È doveroso soffermarsi in un aspetto fondamentale prima di procedere all'analisi (quanto possibile priva di spoiler, lo promettiamo!) del nuovo capolavoro di James Cameron. Con un incasso di 3 miliardi di dollari in tutto il mondo, Avatar è rimasto in prima posizione come il film di maggiore successo della storia del cinema per 10 anni.

L'eredità del capitolo originale infatti pesa come un macigno, ancor di più se si considera il budget stimato intorno ai 400 milioni di dollari de La via dell'acqua. Il peso aumenta ulteriormente e in maniera esponenziale se si pensa come sia cambiato l'intrattenimento multimediale negli ultimi 13 anni, quanti ne sono passati dal primo Avatar al nuovo episodio: oggi è molto più semplice realizzare una saletta cinematografica in casa propria, le grosse corporation di settore spingono sempre di più verso lo streaming e i motivi per andare al cinema sono sempre meno. Ed è qui che subentra il discorso tecnico di Avatar: La via dell'acqua.

Parlare delle scene che si susseguono, velocissime e con i tipici ritmi dei blockbuster americani, in Avatar: La Via dell'Acqua, sarebbe oltremodo riduttivo e non farebbe giustizia al lavoro svolto da tutta la crew tecnica.

Finiremmo per sminuire il valore artistico delle stesse se cercassimo di descrivere le singole scene del nuovo film di Cameron, a prescindere dal numero di parole e caratteri spesi allo scopo. Dal punto di vista tecnico La via dell'acqua riesce comunque a sorprendere anche quegli spettatori ormai assuefatti alle prodezze in termini di effetti speciali delle produzioni americane multimilionarie. Questo anche grazie all'uso del 3D come componente narrativa e non solo per offrire un livello (o faremmo meglio a dire una "dimensione") di stupore aggiuntivo alle già meravigliose immagini offerte dal film. Il 3D in "Avatar 2" è sempre saggio e mai fine a se stesso, capace di offrire un chiaro valore aggiunto alla pellicola in termini di narrazione e forza delle immagini, staccando i soggetti dall'ambiente circostante in maniera molto più evidente rispetto al semplice bokeh.

Un esempio di 3D utilizzato come espediente narrativo è presente (piccolo spoiler) in alcune scene in cui vediamo un bellissimo primo piano di Neytiri (Zoe Saldaña, ancora una volta colonna portante dello sviluppo emotivo della trama, con i suoi estremi di dolcezza e aggressività) mentre intona un canto Omatikaya, ma in generale il 3D di La via dell'acqua è senza dubbio fra i più convincenti mai visti al cinema, ed è capace di superare con disinvoltura quello realizzato dallo stesso James Cameron 13 anni prima nel primo Avatar (ancora fra i punti di riferimento in questo particolare ambito).

Il regista ha operato una scelta innovativa anche per l'HFR (High Frame Rate), con i 48fps che vengono miscelati in maniera sagace ai consueti 24fps, in modo da essere utilizzati solo nelle scene in cui vengono considerati non distruttivi ai fini della narrazione, aggiungendo maggiore leggibilità nelle scene d'azione o quando ritenuto opportuno dalla regia.

E poi c'è il capitolo effetti speciali, curati da Wētā FX in collaborazione con altre case e sotto il comando di Joe Letteri (che ha lavorato nel primo Star Wars, nel primo Avatar e nei vari Il Signore degli Anelli, per intenderci): il passo in avanti rispetto al primo capitolo della serie è abbastanza evidente, con la CGI che si mescola in maniera estremamente efficace alle riprese dal vivo riuscendo a creare un mondo ancor più meraviglioso del primo Pandora.

I nativi del pianeta si inseriscono nelle ambientazioni in maniera molto più realistica rispetto al primo Avatar, nonostante le difficoltà aggiuntive delle riprese subacque che sono chiaramente tantissime. Ancora una volta, e ancor di più rispetto al passato, la CGI risulta utile per rafforzare l'impatto emotivo dei sentimenti dei nativi: impossibile resistere ai grandi occhi lucidi di Neytiri o ai dubbi della prole della stessa Na'Vi e Jake Sully, che negli ultimi dieci anni dal primo Avatar ha preso con successo le redini della tribù degli Omatikaya mettendo su famiglia.

In breve, è proprio sul piano visivo - unendo tutte le componenti menzionate con in più l'aspetto sonoro e musicale, che alla fine fanno la tecnica del cinema e il cinema stesso - che Avatar: La Via dell'Acqua riesce di fatto a superare la stragrande maggioranza dei film che abbiamo visto nell'ultimo decennio, e fa impallidire al confronto in maniera ignominiosa qualsiasi serie TV, nessuna esclusa, sul piano visivo. È cinema puro, e per essere goduto nella sua massima espressione richiede la visione al cinema, ma in un cinema vero: noi abbiamo avuto la fortuna di vederlo in Sala Energia, al Cinema Arcadia di Melzo e, se avete la possibilità di farlo, scegliete un cinema che tecnicamente può stare al passo con le scelte tecnologiche operate da Cameron per il suo nuovo film.

Se sul piano tecnico il nuovo La via dell'acqua può essere inteso come un Avatar all'ennesima potenza, anche sul piano narrativo è in corso una rivoluzione in quello che diventa ormai un brand. Non è di certo una novità che Cameron abbia pianificato la realizzazione di ulteriori nuovi capitoli di Avatar (il prossimo è atteso per il 2024) e, se nel primo episodio la trama lasciava spazio a nuovi contenuti pur considerandosi conclusiva nel suo intreccio narrativo, con il nuovo capitolo allo spettatore rimangono diverse domande anche dopo le oltre 3 ore di narrazione.

Si rimanda quindi a uno stile che ormai è adottato e abusato nelle serie TV, seppur La via dell'acqua sia uno spettacolo che - come già detto - ha un inizio e una fine ben precisi, con in mezzo uno sviluppo coerente con quanto avevamo visto con il primo Avatar e ancor più spettacolare sul piano sensoriale. È coerente anche la scelta del cattivissimo di turno: ancora una volta Quaritch e ancora una volta interpretato da Stephen Lang, ma qui in una "veste" del tutto originale ma sensata (e non diciamo altro).

Per soddisfare l'esigenza di serialità, quindi, la trama diventa più articolata e stratificata - forse troppo - aggiungendo diversi filoni narrativi. Tutto ha inizio 10 anni dopo la storia epica di Jake Sully e Neytiri (interpretati da Sam Worthington e Zoe Saldaña, quest'ultima al solito magistrale), che sono diventati nel frattempo genitori di Neteyam (Jamie Flatters), Lo’ak (Britain Dalton) e Tuk (Trinity Jo-Li Bliss) e hanno adottato Kiri (Sigourney Weaver) e Spider (Jack Champion), quest'ultimo un umano. Anche in Avatar: La Via dell'Acqua i protagonisti sono costretti a fuggire da un nemico molto più tecnologizzato che è, generalizzando, la malvagità degli uomini dal cielo e la loro incuranza verso gli ecosistemi naturali.

Il messaggio ambientalista è ancora una volta fortissimo e presente in tutta la narrazione: se nel primo Avatar a fare da collante nella trama era il rapporto sinergico fra i Na'Vi e la foresta, qui è l'amore verso il mare e il legame che si crea con il suo ecosistema a dare vita alla trama.

Ed è così che vediamo Jake Sully, per gli Omatikaya il potentissimo Toruk Makto, dover imparare da perfetto novizio come sopravvivere in un ambiente del tutto nuovo, una volta raggiunto il clan dei Metkayina che vive in totale armonia con gli oceani circostanti. L'intera famiglia dei Sully, ancora una volta fuggiaschi dagli esseri umani, affrontano il mondo acquatico e fanno i conti con le dinamiche complesse che si vengono a creare mentre tentano di farsi accettare dalla nuova comunità. La sceneggiatura è stata scritta da James Cameron, Rick Jaffa e Amanda Silver, mentre Cameron e Jon Landau sono i produttori del film. Non è perfetta, dal momento che unisce diverse tematiche e lo spettatore meno attento potrebbe perdersi qualche pezzo durante la lunga durata della pellicola.

A mio personale avviso, poi, si perde un po' della poesia presente nella prima ora del capitolo originale, con Cameron che comunque riesce ancora una volta a meravigliare lo spettatore realizzando un mondo oceanico commovente. Lo stesso, però, viene raccontato molto velocemente con un ritmo ancor più frenetico rispetto al primo episodio: si dà spazio fin dai primi minuti alle scene d'azione, con Na'Vi e Ricom armati fino ai denti (in contrapposizione con i Na'Vi estremamente spirituali, seppur aggressivi quando serviva, che avevamo visto nel primo capitolo) che cercano di rispondere alle aggressioni degli uomini dal cielo. Risulta decisamente spiazzante - e fa riflettere - vedere Pandora dopo l'intervento massiccio dell'essere umano, con i relitti lasciati dalle battaglie fra nativi e uomini che poco a poco stanno per essere di nuovo "divorati" dalla natura.

È stata probabilmente necessaria ai fini della serialità l'espansione della trama a più protagonisti: la storia di Avatar non è più quella di un marine costretto sulla sedia a rotelle che riacquisisce la libertà in una società più verace rispetto alla civiltà terrestre, divenendo infine Olo’eyktan (leader) degli Omatikaya. La storia di La via dell'acqua è invece quella di una intera famiglia i cui membri sono disposti a tutto pur di difendersi vicendevolmente dalle avversità della vita. Il punto di vista si sposta a più riprese fra "buoni e cattivi", poi, dove anche questi ultimi acquisiscono finalmente una profondità e le proprie mosse diventano meno stereotipate.

Il tutto ha il suo culmine nella frase "I Sully non si dividono", che i protagonisti si ripetono a più riprese per non cedere al nemico e che probabilmente segnerà la narrazione anche dei prossimi capitoli.

Nel 2009 Avatar ha meravigliato il mondo intero con l'uso intensivo del performance capture, che sul nuovo capitolo acquisisce una capacità di esprimere movimenti e - soprattutto - emozioni in maniera molto più efficace. Il tutto con un livello di difficoltà aggiuntivo, visto che mai prima d'ora la tecnica era stata utilizzata per catturare le interpretazioni sott'acqua.

Per farlo è stata costruita una vasca di enormi dimensioni (36 x 16 x 9 metri, contenente più di 946 mila litri d’acqua) nei Manhattan Beach Studios, in cui sono state replicate le condizioni oceaniche del mondo reale. La vasca è stata utilizzata per filmare qualsiasi tipo di copertura, con un sistema di due eliche navali dal diametro di 1,80 metri delegato a realizzare le correnti d'acqua e le onde.

Fra le difficoltà del performance capture sott'acqua c'era anche la necessità che l'acqua rimanesse limpida, e soprattutto che non fossero presenti bolle come quelle generate dall'uso delle attrezzature da sub indossate dalla crew tecnica (le tecnologie attuali non riescono a riconoscere le bolle e possono disturbare il corretto rilevamento dei movimenti degli attori). Proprio per questo tutti gli attori e i membri del cast, così come la crew tecnica, si sono allenati nelle immersioni in apnea: in sostanza tutte le scene acquatiche del film sono state realizzate costringendo tutti i presenti a trattenere il fiato, dopo opportuno allenamento. Si dice che Kate Winslet (nel film Ronal, una dei leader del clan dei Metkayina) sia riuscita a trattenere il fiato per oltre 7 minuti!

Complessivamente Cameron ha allestito due volumi diversi separati da uno spazio di 2 cm: uno per le sequenze sottomarine, l'altro per quelle fuori dall'acqua dove venivano utilizzate strumentazioni dedicate funzionanti in maniera diversa per "digitalizzare" tutti i movimenti degli attori. Un computer estraeva i dati da entrambi i volumi e integrava tutte le informazioni mostrando una bozza del risultato in tempo reale sulla Virtual Camera del regista. Questa anteprima è stata fondamentale durante le riprese, dal momento che Cameron poteva avere subito accesso a una versione grezza della scena finale, con i nativi già completi delle loro sembianze reali e non con quelle degli attori. Grazie alla Virtual Camera Cameron aveva la possibilità di vedere i protagonisti reali del film mentre entravano e uscivano dall'acqua, nuotavano in superficie, uscivano dall'acqua per andare su una banchina o ancora si tuffavano in acqua nuotando al suo interno. Il tutto abilitando due modalità di performance capture completamente diverse nello stesso display, attraverso un software sviluppato appositamente (che ha richiesto diverso tempo) per lo scopo richiesto dal regista.

La performance capture di Avatar: La Via dell’Acqua ha avuto inizio a settembre del 2017 ed è durata 18 mesi, dove sono state registrate scene che verranno utilizzate anche sui quattro sequel previsti. Una volta montate le sequenze attraverso la Virtual Camera, le inquadrature e le performance sono state consegnate nelle mani degli esperti di effetti visivi di Wētā FX. La società aveva già aiutato Cameron a dare vita ai personaggi Avatar e Na’vi del primo film e, ancora una volta, ha cercato di mantenere grossa parte del lavoro svolto dagli attori sul piano dell'impatto emotivo su elementi difficilmente riproducibili in CGI (mimica facciale, o banalmente il movimento di coda e orecchie).

Per le emozioni dei Na'Vi e delle creature di Avatar: La Via dell’Acqua è stato utilizzato un sistema chiamato Image-Based Facial Performance Capture. Per la tecnica sono state utilizzate due macchine da presa ad alta definizione (rispetto alla singola a bassa definizione di Avatar) che ha permesso di registrare in modo accurato le più piccole sfumature delle espressioni degli attori. La macchina da presa veniva rivolta verso il viso degli attori e registrava le espressioni facciali e i movimenti dei muscoli, ma soprattutto, registrava i movimenti degli occhi: questo sistema ha permesso di catturare le espressioni facciali degli attori con una chiarezza e una precisione di altissimo livello, ancor più che in Avatar, con risultati su schermo molto evidenti. Lo stesso sistema verrà adottato anche su tutti i sequel che vedremo nei prossimi anni.

Dare un giudizio ad un'opera come Avatar: La Via dell'Acqua non è semplice, soprattutto se si cerca di accontentare tutti i tipi di spettatori. Definirlo un capolavoro assoluto non sarebbe corretto, dal momento che non è esente da difetti; dire che non merita nulla sarebbe altrettanto ingiusto, anche solo per la componente visiva che è a livelli eccezionali per tutta la (lunga) durata della narrazione. Come con il primo episodio della serie, che veniva considerato da alcuni un remake di Pocahontas senza neanche considerare l'aspetto tecnico, è chiaro che il giudizio di La Via dell'Acqua può essere estremamente diverso in base dalla componente che va ad essere giudicata, ed è probabilmente per questo che online già fioccano i 10/10 e i 2/10 per il film di Cameron. Iniziamo con gli aspetti negativi.

La sceneggiatura è molto articolata dipanandosi in una pletora di tematiche trattate: di certo non complessa, il secondo Avatar rimane un film per tutti, ma la narrazione si dipana lungo diverse vie che per alcuni possono risultare difficili da seguire. Sono ancora una volta fortissime le componenti ambientalistica e di aggregazione sociale, e le diverse tematiche sono trattate dal punto di vista più corretto all'interno di una trama che può essere ridotta al semplice "dramma familiare" in cui la priorità assoluta diventa proteggere i membri della famiglia (chiunque essi siano). Cameron ricorre poi agli espedienti narrativi tipici delle produzioni seriali, con il finale che lascia spazio a numerosi interrogativi sull'evoluzione che avranno i protagonisti. Insomma, gli spettatori più esigenti potrebbero considerarla una narrazione incapace di offrire profondi spunti di pensiero, ma la sceneggiatura è solo una delle componenti da valutare, soprattutto nel caso di un film del genere.

Sì, perché Avatar: La Via dell'Acqua è goduria pura sul piano sensoriale, in maniera molto più marcata rispetto al primo capitolo che comunque rimane ancora visivamente attuale. Sul piano visivo Cameron non ha fatto sconti realizzando un mondo meraviglioso, raccontato attraverso immagini capaci di imprimersi con forza nelle menti degli spettatori che sapranno lasciarsi incantare nei 192 minuti del film. È cinema ai massimi livelli: probabilmente non insegnerà molto a chi ha già alcuni decenni sulle spalle, ma è assolutamente un film da vedere in un buon cinema per chiunque si considera un appassionato, anche solo per capire quale sarà il punto di riferimento da qui fino ai prossimi 10 anni in termini di pura tecnica audiovisiva.

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